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La storia

di Marco Olivieri



Episodio 2 - E questa chi è?

...Tauria, il giorno seguente...

La sala prove era ridotta ad un tugurio umido e maleodorante. Non c'era un solo angolo che non fosse circondato da un ampio alone di muffa o decorato con una ragnatela intasata di insetti ormai morti. Ma il peggior fastidio di quell'angusto locale, per gran parte occupato da batteria e amplificatori, era lo sfarfallio dell'unica lampadina che penzolava dal soffitto e dalla quale scaturiva un micidiale effetto psichedelico.

«Am I just paranoid? A ya-ya-ya!»
Mentre l'esplosiva voce nasale del cantante dei "Green Day" risuonava dal suo cellulare, Timmy era impegnato da solo a destreggiarsi tra i vari cavi aggrovigliati vicino al mixer come un militare in un percorso ad ostacoli. Con grande sforzo riuscì ad allungare il braccio e accendere il vecchio amplificatore “Peavy” del basso, ma un ronzio preoccupante lo indusse a spegnere quell'aggeggio infernale. Forse sarebbe stato meglio aspettare tutti i membri del gruppo, prima di fare il soundcheck.

Alcuni istanti dopo, la porta di legno, foderata con vecchie scatole per le uova, si aprì cigolando rumorosamente.
«Alla buon'ora!», commentò amareggiato Timmy, interrompendo "Basket Case" proprio durante l'assolo finale di chitarra. «Sono almeno tre quarti d'ora che vi aspetto per iniziare le prove! Ehi, un attimo, dove sono Ron e Glen?», domandò vedendo entrare solo due dei membri del suo gruppo. «Non importa, intanto che aspettiamo, vi racconto le cose assurde che mi sono capitate ieri sera a SilverTown».
«Aspetta, Timmy», provò ad intervenire Jim con un'espressione scura in volto «forse è il caso che...»
«Non avete idea di quello che mi è successo...», la frenesia di Timmy non ammise interruzioni. «Appena sceso dal treno, sono stato portato al Rockopolis da un tassista fuori di testa, che sembrava uscito dal cast di "Fast & Fourius", poi ho conosciuto Steven Tyler, sì, proprio il cantante degli Aerosmith, ed è stato lui che mi ha fatto entrare nell'area vip. E una volta dentro...»
«Fermo un secondo, Timmy...», questa volta Jim cercò di essere più insistente.
«...mi sono affacciato per vedere l'Arena, ed è stato incredibile! Trenta metri più in basso, i Banditos stavano suonando "We Will Rock You", riproponendola con un'eccentrica chiave glam, da paura!»
«Ok, abbiamo capito, ma...», la pazienza di Jim sembrava arrivata al limite.
«...E poi sono salito all'ultimo piano, nella Sala di Controllo del Direttore, dove ho fatto vedere la nostra demo», proseguì imperterrito Timmy, parlando a raffica senza mai riprendere fiato. «Ah, quasi dimenticavo, adesso ci chiamiamo i…»
«Non possiamo più partecipare al Rockopolis!», gridò Jim esasperato.


Un silenzio immobile ricoprì la sala, stuzzicato unicamente dal tremolio della lampadina. In quell'istante, Timmy guardò con maggior attenzione i suoi amici e si accorse di una profonda tristezza nei loro occhi. L’aspetto sobrio e il mutismo di Carl non rendevano mai facile decifrare quel chitarrista, dato che di parole ne dispensava sempre col contagocce. Ma che ci fosse qualcosa di strano, Timmy lo aveva percepito dai capelli di Jim, che contrariamente alle solite acconciature eccentriche con cui si presentava anche alle prove, oggi erano abbassati da un lato e privi di lacca.
«Ma... Ma cos'è questo, uno scherzo, vero!?», chiese Timmy con tono sconcertato. «Co... Cosa vuol dire che "non possiamo partecipare"? La quota per l'iscrizione l'ho anticipata io per tutti, quindi non mi dovete niente per ora...»
«Non è per i soldi, Timmy», intervenne Jim sconsolato, cercando di placare il nervosismo dell'amico. «Ron e Glen se ne sono andati. Non abbiamo più né bassista, né batterista. É finita»
Il cuore di Timmy si fermò.

«Ma come, "se ne sono andati"?», chiese poi, iniziando a credere di trovarsi a vivere nel peggiore dei suoi incubi. «Non è possibile che due ragazzi di diciassette anni se ne vadano via da un giorno all'altro, così, come se niente fosse»
«Già, a meno che il loro padre non ingravidi la propria segretaria», commentò Jim senza troppi giri di parole. «Ron mi ha detto che la madre era talmente imbestialita che ha spaccato tutta la collezione di wiskey del padre e poi ha preso il primo aereo per portare tutti e tre dai nonni».
Timmy era incredulo. Dopo aver superato ostacoli impensabili per arrivare sul più importante palco mai esistito, era inciampato solo per la maledetta lussuria di un cinquantenne fedifrago. Un improvviso istinto piromane si insinuò nei suoi pensieri istigandolo a dar fuoco a quella lurida topaia. Poi, la delusione ebbe il sopravvento sulla rabbia, portando lo sguardo ad inclinarsi verso il basso per fissare un pavimento chiazzato da olio e da chissà quali altri liquami.
«Ehi, siete qui?», la porta della sala si aprì di scatto, rivelando una ragazzina dai capelli fucsia rasati da un lato e sparati dall'altro, come se sulla testa le fosse esploso un mortaletto. Il suo abbigliamento sciatto e trasandato si riduceva ad un paio di vecchi jeans con ampi strappi sulle ginocchia e una giacchetta di pelle stretta fin sulla vita. A completare l'immagine di quella intrusa sconosciuta era una piccola catenina d'argento che le partiva da un piercing sul naso, fino ad arrivarle ad un orecchino sul lobo destro. Mentre in bocca continuava a biascicare senza sosta una gomma dall'evidente colorito rosato.
«Cavolo, quanto ci puzza qui dentro!», esclamò disgustata.
«Scusami, questa sala è prenotata per le prossime due ore!», disse Timmy infastidito da quella presenza indesiderata.
«Ah, perché questa è una sala prove?», commentò lei acida. «A me sembra più una discarica»

«Ma che...?», Timmy non credeva alle sue orecchie. Prima aveva dovuto subire il dramma della perdita di due membri della band, ora questa pazza squinternata che si presentava senza permesso. «Senti, ragazzina, è meglio che te ne vai immediatamente perché...», ma non riuscì neanche a finire di minacciarla che lei fece tutt'altro che ascoltarlo. Si inoltrò nella piccola stanzetta, dribblando pozze umide e matasse di cavi intrecciati, per poi mettersi a sedere sullo sgabello della batteria.
«Si può sapere chi diavolo sei e cosa caspita stai facendo?», ma anche questa domanda di Timmy venne palesemente ignorata.
«Chiariamo subito un paio di cosette», disse lei sistemando con fare seccato l’asta del charleston e la posizione del rullante. «Numero uno: io non pago l'iscrizione, quindi vedete voi come versare la mia quota. Numero due: se vinceremo uno qualsiasi dei premi, la metà sarà mia, mentre il resto ve lo potrete spartire tra di voi. Queste condizioni non sono negoziabili. Spero di essere stata chiara».
Una nuvola di sgomento avvolse l'espressione dei tre ragazzi.
«Tariffa, premio, ma di che stai parlando?». Anche Jim iniziava ad averne le scatole piene. «Ora vedi di toglierti di mezzo prima che io...» La ragazza sfilò due bacchette da dentro la tasca legata al bordo del timpano, facendole ruotare tra le dita come le eliche di un elicottero. Poi iniziò a ritmare un quattro-quarti ben piazzato. Improvvisamente, il quattro-quarti divenne tre-quarti con una facilità disarmante ed una velocità sempre maggiore. Infine, come un martello pneumatico, la ragazza picchiò con una tale rapidità ogni pezzo della batteria da rendere impossibile seguire il movimento delle sue mani, per poi esplodere con due colpi contemporanei sui crash e concludere con una mini serie di tonfi tra tom e gran-cassa.
«Forse non mi sono spiegata a sufficienza», aggiunse lei nel silenzio attonito dei tre ragazzi. «Io sono la vostra nuova batterista e, a giudicare dalla situazione, abbiamo molto lavoro da fare se vogliamo essere degni del Rockopolis».
«Aspetta un secondo, ma come fai a sapere che...»
«Il primo requisito è la visibilità, quindi dovremo cercare qualche manifestazione in cui far vedere le vostre brutte facce e fare un minimo di esperienza dal vivo»

«Ehi, aspetta un attimo!», sbottò Jim stizzito. «Forse non lo sai, ma noi ci siamo esibiti al “Punkrupt Fest” e abbiamo anche spaccato!».
La ragazza rimase in sbuffante attesa che quei tre idioti finissero di scambiarsi ridicoli gesti d'intesa. «Ho visto su YouTube quella serata», disse congelando poi con acidità ogni euforia. «E l'unica cosa che siete riusciti a spaccare… è stato l'amplificatore della chitarra».
«Ora basta!» Timmy ne aveva le palle piene di vedere la sua band umiliata da quella ragazzina impertinente, anche se quella ragazzina impertinente era un mostro con le bacchette. «Qui nessuno ti ha autorizzata ad entrare nella band e comunque, se non te ne sei resa conto, al momento siamo anche sprovvisti di bassista».
«Bene, allora vediamo di darci una mossa, non abbiamo tempo da perdere», proseguì lei con tono serioso. «Voi due», disse indicando Jim e Carl. «Date una ripulita a questo porcile, poi andate giù dal vecchio Bill a far riparare l'apparecchiatura non funzionante, prima che qualcosa prenda fuoco durante le prove. Tu», poi indicò Timmy, che per un istante sentì un tonfo al petto, come se qualcuno gli avesse appena sparato. «Tu verrai con me al Saint Patrick Pub»
«Cosa?!», esclamò lui terrorizzato «Che diavolo ci andiamo a fare in un postaccio del genere?».
Il San Patrick Pub era un covo di malfattori e ubriaconi. Decine erano stati gli interventi della polizia per sedare le innumerevoli risse che si scatenavano quasi ogni notte tra i clienti del locale. Arresti e scazzottate erano praticamente all'ordine del giorno.
«Principianti...», commentò lei sconsolata, avvicinandosi all'uscita. «Se foste dei veri musicisti sapreste che i migliori bassisti si trovano sempre ad ubriacarsi nei peggiori pub».
«Ehi, aspetta un attimo, pischella!», intervenne Jim sempre più indispettito «Qui sono io il leader del gruppo, e sono io che comando» «Per la tua incolumità, ti consiglio di non chiamarmi mai più "pischella". Il mio nome è Kaila, e faresti bene a ricordarlo» replicò lei folgorando il cantante della band con lo sguardo. «Quindi, visto che sei il boss, scommetto che vorrai andare tu stesso nel più malfamato locale della città a chiedere ad un probabile serial killer se vuole unirsi al nostro gruppo, giusto?».
Il silenzio imbarazzante che ne seguì fu esattamente ciò di cui la ragazza aveva bisogno. «Come immaginavo», proseguì poi senza troppa enfasi, tirando via Timmy come se fosse un sacco di patate inerme tra le mani di una piccola psicopatica.


Nonostante fosse di una corporatura piuttosto minuta e sembrasse avere a malapena quindici anni, la ragazzina che Timmy si trovò ad inseguire stava tenendo un passo straordinariamente rapido. Avevano preso due autobus e percorso quasi tre chilometri a piedi, attraversando tutta la zona industriale della periferia di Tauria. Ora la fatica, e non solo, iniziava a farsi sentire.
«Senti, Kaila», disse Timmy con un fiatone causato più dal panico che dalla strada percorsa. «Non potremmo semplicemente andare in una scuola di musica e chiedere se ci sono dei...»

L'osservazione venne congelata da uno sguardo di ghiaccio.
«Tu vuoi che un imbecille alle prime armi affronti un pubblico di ottantamila persone scatenate?», chiese lei sarcastica. «Sarà già tanto se quei due smidollati dei tuoi amici non se la faranno sotto quando saranno sul palco».
Nonostante i modi drammaticamente brutali di Kaila, Timmy doveva ammettere che non aveva tutti i torti, anzi sembrava sapere davvero il fatto suo.
Quando i due ragazzi arrivarono finalmente davanti al Saint Patrick Pub, a dar loro il benvenuto c'erano una schiera di Harley Davidson parcheggiate vicino all'ingresso, circondate da un acre odore di vomito e alcool. L'interno del pub non fu affatto più accogliente.
«Gimme fuel, gimme fire, gimme that which I desire, ooh!»
Pervasi da una foga esagerata, quattro capelloni a petto nudo erano stati confinati a suonare dietro una spessa rete di ferro come se fossero animali rabbiosi in gabbia, agitando le loro lunghe chiome con una furia dissennata, al ritmo martellante dei "Metallica".
Attorno ad un paio di logori tavoli da biliardo, girovagava un gruppo di uomini vestiti come motociclisti della peggior specie. Giacca e pantaloni di pelle, grezze barbe grigiastre e bandane sudaticce attorcigliate sul capo. Dai modi irruenti che avevano di commentare ogni palla finita in buca, non sarebbe stata una sorpresa se qualcuno avesse improvvisamente spaccato la stecca sulla testa di qualcun altro.

Dietro un lungo bancone di legno scheggiato, un grassoccio uomo calvo dall’espressione accigliata, spillava birra con fare seccato ad ogni losco individuo che gli si avvicinasse. Il precario stato di quiete in cui tutto il locale sembrava stazionare, collassò non appena un bizzarro individuo dalla folta capigliatura cotonata e un paio di occhialetti alla John Lennon, si avvicinò al bancone.
La musica rese impossibile distinguere cosa gridò il barista dopo aver afferrato l’uomo per il bavero della camicia. Ma nonostante questi avesse alzato le mani in segno di resa, il barista chiamò qualcuno a gran voce, prima di ficcarsi due dita in bocca e fischiare così forte da sovrastare il chiasso della band.


Di tutta risposta, il più grosso e grasso uomo che Timmy avesse mai visto, si alzò con espressione contrariata dalla propria sedia e gettò sul tavolino le carte che aveva in mano. Poi si avviò verso il malcapitato che era ancora tra le grinfie del barista. L'altro cercò di opporre una timida resistenza anche se, alla fine, quell'ammasso di ciccia traballante lo scaraventò fuori dal locale come fosse un qualunque sacco d’immondizia.
I due ragazzi assistettero alla scena con espressioni diametralmente opposte: Kaila biascicava annoiata, mentre Timmy era paralizzato dalla paura.

«A me non sembra un buon momento per fare domande», commentò lui aggrappandosi alla prima scusa plausibile che gli venne in mente per darsela a gambe. «Forse dovremmo ripassare quando c'è più calma»
«Non fare il poppante e allungami un pezzo da cinquanta», ribatté lei con lo sguardo che vagava tra i clienti del locale.
«Cosa?!», proruppe Timmy, strozzando a fatica il proprio stupore per quella richiesta assurda. «Ma che vuoi fare, ordinare da bere?».
«Tu dammelo e basta!», esplose lei furibonda.
Nelle ultime ventiquattro ore, Timmy aveva rischiato la pelle così tante volte da iniziare a temere che fare il manager di una band fosse un mestiere maledettamente pericoloso, oltre che dispendioso. Cercò comunque nel suo portafogli, ma di soldi non ne erano rimasti affatto, dato che il viaggio a SilverTown e il costo dell'iscrizione avevano prosciugato tutti i suoi risparmi degli ultimi tre anni. Poi, improvvisamente, si ricordò di aver messo il resto di un pranzo nella tasca posteriore dei pantaloni.
«Ma tu guarda», commentò sorpreso di avere una banconota da venti «Stavo rischiando di farli lavare in...»
«Dammi qua!», intervenne Kaila afferrandogli di scatto il denaro dalla mano. «E spera che qui le informazioni non costino caro», concluse con tono stizzito.
«Ehi!», aggiunse Timmy contrariato. «Quelli sono i miei ultimi soldi, cosa credi di...». Continuare a parlare fu del tutto inutile, perché quella dannata ragazzina si era già avviata verso il bancone.

«Non serviamo marmocchi», sentenziò il barista non appena vide Kaila sedersi sullo sgabello. «E se siete stati mandati dagli sbirri a controllare se verso birra ai minorenni, allora potete anche riferirgli che vi ho mandato a cagare!»
«Non siamo con gli sbirri e non vogliamo da bere», disse Kaila del tutto impassibile alle minacce. «Cerchiamo un bassista. Qualcuno che sappia il fatto suo, ma niente metallari psicopatici come lo svitato che hai chiuso in quella gabbia», concluse poggiando il biglietto da venti sul piano di legno.
«AH!», rise di gusto il barista. «Se pensi di trovare il prossimo Jaco Pastorius tra questi bifolchi, sbatti davvero male, ragazzina», rispose divertito. «Ma se proprio vuoi sapere chi qui dentro abbia tenuto un “quattro-corde” in mano e non sia ancora in gabbia o sotto terra, forse Slide può fare al caso tuo», poi prese il denaro con un rapido movimento e si voltò verso destra. «E' quello lì», disse infine, indicando con un gesto del capo un uomo seduto ad un tavolo isolato e ricurvo su di un boccale di birra. «Tsé! Anche se non credo che ne caverai nulla di buono da quel fallito. Vent'anni buttati nel cesso», concluse tirando rumorosamente su col naso.

Non appena Kaila si alzò senza mostrare il minimo riconoscimento, Timmy le si avvicinò visibilmente preoccupato. «Ma perché non abbiamo chiesto al tipo che sta suonando adesso?», disse voltandosi verso la grata di ferro. «Sarà anche un po’ picchiatello, ma non mi sembra male». «Vuoi scherzare?!», chiese lei con fare retorico. «Mettere un bassista metal in una punk-band è come ingoiare una mentos dopo essersi scolati una bottiglia di cola» e senza dare altre spiegazioni si incamminò allontanandosi dal bancone.
Si fermò poi a pochi passi dal tizio che le era stato indicato, trovandolo intento a fissare con sguardo assente un boccale di birra quasi vuoto. Da sotto i suoi lunghi capelli unti spuntava il filo di un auricolare che era collegato ad uno Smartphone poggiato sul tavolo, sul cui display crepato scorreva la scritta: "La Grange - ZZ Top".

«E' lui», disse Kaila ruotando leggermente la testa verso Timmy che non trovò nulla di confortante nel sapere che quello straccione dalle occhiaie scure, la barba incolta e l’espressione dissociata, sarebbe potuto essere il loro nuovo bassista. Anche perché a prima vista, quel tizio dimostrava almeno il doppio dell'età indicata dal barista.
«Ehi!», lo provocò Kaila tirandogli via uno degli auricolari. «Sei tu Slide?», chiese poi, incurante delle conseguenze che avrebbe portato quel gesto sgarbato.
«"BHUUURRP"», gli rispose l'altro con un rutto soffocato senza voltarsi. «No» disse quindi con voce grave, rimettendosi l'auricolare. La ragazza emise un sospiro spazientito, mentre Timmy le si avvicinò bisbigliandole all'orecchio. «Credo sia meglio andare». Ma come al solito, lei lo ignorò.
Kaila prese di nuovo la cuffia e la tirò via con ancor più decisione, irritando inevitabilmente quel ragazzo che, di scatto, si voltò con il chiaro intento di venire alle mani.
Ma lei non si fece intimidire. «Se ti interessa suonare al Rockopolis, fatti trovare domani alle quattro in punto del pomeriggio alla sala prove "Black Notes"», disse sfidando con tono inespressivo lo sguardo irritato che aveva davanti. «Ma ricorda... vieni puntuale, oppure non disturbarti a venire affatto», quindi attese solo qualche istante, come se si volesse sincerare che quel tizio rintronato avesse quantomeno capito il senso delle sue parole. Poi si voltò e senza attendere una risposta, fece per uscire.

Nuovamente spiazzato e sorpreso dalla reazione di quella bizzarra ragazzina, Timmy rimase alcuni secondi da solo con lo strano individuo seduto al tavolo, il quale si limitò semplicemente ad emettere un altro rutto, prima di scolarsi l’ultimo sorso di birra che aveva nel boccale e rimettersi ad ascoltare la musica dall’auricolare. A quel punto, Timmy decise di levare le tende e raggiungere la sua stramba amica.
«Aspetta Kaila!», Disse non appena la raggiunse fuori dal pub «non sono sicuro che quel tizio abbia accettato la nostra proposta» «Verrà», rispose lei laconica.
«Ma, come fai a dirlo?»
«Gliel’ho letto negli occhi»
«Sì, ma non è che mi sia sembrato esattamente “cento-cento”», obiettò Timmy facendo il gesto di chi non ha tutte le rotelle a posto.
«E’ un bassista», rispose lei con una scrollata di spalle. «Se fosse una persona normale, non sarebbe un vero bassista», poi dalla tasca tirò fuori un cellulare sulla cui cover nera era stato attaccato un adesivo con il divieto dell'uso dei cellulari. Lo accese ed iniziò a scorrere alcune pagine su internet. «Adesso tocca a te, Timmy», disse con gli occhi fissi sul display, «ora abbiamo una band, ma ci servono "live" in cui farci le ossa prima di affrontare il Rockopolis. E magari, questo potrebbe fare proprio al caso nostro». Timmy sbarrò gli occhi nel vedere lo schermo del telefono di Kaila sulla pagina web dello “Ska-ter Festival”.
«Ma… non ti sembra un po' troppo "impegnativa" come prima tappa?», chiese sorpreso della scelta decisamente azzardata.
«Non c’è tempo per la classica gavetta. E comunque tu pensa a farci iscrivere», rispose lei con un sorriso serafico. «A fare della "Carta Straccia" un gruppo affiatato, ci penseranno le prove… tante e lunghe ore di prove»

Per quanto arrogante e spregiudicata fosse quella ragazza, Timmy doveva ammettere che Kaila si era dimostrata una tipa decisamente intraprendente. Sarebbe potuta essere anche carina se non avesse la costante espressione disgustata sul volto e un irritante atteggiamento da maschiaccio. Come gli fosse capitata una mina vagante del genere, era una cosa ancora da chiarire, insieme a tante altre. Ma visto che ormai era salito su una giostra dannatamente troppo vorticosa da essere fermata, tanto valeva reggersi forte e sperare di non essere sbalzato fuori.
Anche se doveva ammettere che tra tutte le domande che lo stavano assillando, non riusciva proprio a capire come facesse Kaila a sapere il nome della band, visto che ancora non aveva avuto l’opportunità di rivelarlo a nessuno.


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Fine secondo episodio. Trovate qui il successivo